Nonostante siano stati i viaggi e il rapporto con gli altri interns a rendere meravigliosa la mia esperienza bulgara, una parte molto importante del tutto è stata senza dubbio il lavoro.
Ripetiamolo: la squadra era composta da me (grazie), da Kaja la polacca, Alina l’ucraina e Willy di Hong Kong (perché ho imparato che non si può andare da uno di Hong Kong e dargli del cinese). Georgi era il nostro team leader e il più delle volte, il nostro interprete.
La nostra missione era insegnare le basi della lingua inglese a bambini tra i 4 e i 6 anni in due asili di Sofia.
Per raggiungere il primo prendevamo l’autobus 94 proprio davanti al dormitorio, scendevamo a European Union (Европейски съюз) e da lì sei fermate di metro fino a Han Kubrat (Хан Кубрат). La metropolitana è il luogo migliore per imparare l’alfabeto cirillico perché si ha subito una corrispondenza tra i due alfabeti e si può iniziare ad associare i suoni ai segni. Mi piaceva il tragitto European Union-Han Kubrat perché una delle stazioni di passaggio era Knyaginya Maria Luiza, cioè quella che io chiamavo molto modestamente: LA STAZIONE A ME DEDICATA.
Vi spiego. Un pomeriggio, sarà stata la prima settimana di Agosto, siamo andati in centro a Sofia per partecipare al Free Tour della città organizzato da un’associazione locale di volontari. Martin era la nostra guida ed è stato straordinario! Era sempre a tremila, parlava velocissimo e faceva un sacco di battute; cercava sempre di spiegare le cose nel modo meno noioso possibile e per questo una volta arrivati alla parte storica decise di abbandonare gli spiegoni e descrivere il tutto con un bel roleplay. Per esempio: mi serve un condottiero austriaco! E tra gli austriaci uno si offriva per interpretare il personaggio e così via.
E tra i vari ruoli poteva mancare la principessa italiana? E quante altre italiane c’erano nel gruppo? Esatto.
Finii quindi ad interpretare Maria Luiza, sposai Archi Mister Dick (era un principe tedesco o qualcosa del genere) e da quel momento mi sentii in diritto di chiamare mia quella stazione della metro.
Comunque Martin era così straordinario che una quindicina di minuti dopo la fine del tour ci è letteralmente corso dietro perché si era dimenticato di dare a Sherman (e poi a tutti noi) la caramella alla menta, come aveva promesso. Martin ne dava una a chi indovinava qualcosa o rispondeva bene ad una domanda e quindi Sherman, uno dei più potenti smartass che abbia mai conosciuto (con affetto!), ne DOVEVA avere una. Martin se ne è subito accorto e sottovoce mi ha detto “prometto che alla fine gliene do una comunque”.
Ma sto divagando, torniamo al primo asilo. Era piccolino e molto allegro, la direttrice ci adorava e ci faceva sempre trovare pronta un’enorme caraffa piena di buonissimo tè al limone. Era così buono che a volte era ciò che ci spingeva giù dal letto al mattino, dopo due ore e mezzo di sonno o anche meno.
In questo asilo insegnavamo nella piccola aula musica e avevamo due gruppi, composti circa da una ventina di bambini. Il primo gruppo di questo asilo è stato il mio preferito in assoluto! Lo so che non si dovrebbe avere preferiti e che i bambini sotto tutti belli eccetera però sì, era il mio preferito. Era quello con più entusiasmo e che imparava di più. E poi in questo gruppo c’era Viki, my favourite little girl e Svetlo, my favourite little boy (vale il discorso sopra). Erano troppo adorabili per non amarli!
Viki era sinceramente appassionata all’inglese, ha imparato così tanto in sole poche settimane! L’ultimo giorno, l’ho coccolata mentre piangeva e mi ha detto “I miss you. I love you.” Mi sono un po’ sciolta dentro.
Per arrivare al secondo asilo invece prendevamo l’autobus 280, la metro alla stazione di G.M. Dimitrov (Г.М.Димитров), una sola fermata e scendevamo a Joliot Curie (Жолио Кюри). Questo asilo era enorme! Veramente veramente grande e con bambini ovunque (ma tu guarda!). Qui i gruppi a cui insegnare erano tre. Il primo era quello più difficile. Era davvero dura attirare e mantenere la loro attenzione, anche le cose più semplici come il gioco delle sedie musicali diventava un’impresa titanica! Era un peccato però, perché anche questi bambini riuscivano ad essere adorabili, specialmente il piccolo Georgi.
Il secondo era il gruppo dei bambini più grandi, tutti intorno ai sei anni. Con l’inglese non andavano fortissimo ma almeno potevamo fare i giochi un po’ più complicati dato che erano in grado di correre senza troppo perdere l’equilibrio.
Due di loro, Alex e Philip, si contendevano la mia mano. Urlavano: GIADA MIAAAA! e quasi litigavano! Uno di loro mi ha detto che avrebbe speso 9000 Lev (NOVEMILA LEV!!!) per comprare una casa dove vivere insieme!
Il terzo gruppo era quello che faceva battere di più il cuore perché era quello delle bimbe carine con i boccoli.
NESSUNO È IMMUNE ALLE BIMBE CON I BOCCOLI, VE LO DICO IO!
La cosa che più di tutte mi ha stupito è stato proprio il mio rapporto con i bambini.
Non ho fratelli piccoli o cuginetti e se togliamo l’aver fatto l’animatrice all’oratorio feriale un’estate di sei anni fa non avevo nemmeno un minimo di esperienza. Non sapevo come avrei reagito alla loro presenza, gli sarei piaciuta? Mi avrebbero odiata a morte?
È incredibile quanto puoi fare per loro e quanto puoi insegnargli semplicemente mettendoti al loro livello: gioca, balla, canta, siediti per terra, fa quello che fanno loro senza sentirti stupido e li conquisterai.
Non capivo quasi niente di quello che mi dicevano ma ci facevamo lo stesso delle enormi risate! Solo perché ridevo con loro, e ascoltavo.
(facevo finta occhei, ma c’hanno cinque anni).
È stato difficile all’inizio, anzi difficilissimo. Quando entravamo in una stanza scendeva il gelo. Leggevi sulle loro facce “ma questi chi sono? che vogliono?” col tempo li abbiamo visti lentamente sciogliersi alle nostra presenza finché il nostro ingresso suonava più o meno così: WILLY! GIADA! WILLYYYYYY! GIAAAAADA!!!
La prima volta che una di loro mi ha abbracciata, non ci potevo credere.
È un traguardo enorme, l’aver raggiunto una connessione. In questo modo loro imparano e assorbono e magari ora non tutti sono in grado di ripetere l’alfabeto o i numeri fino a 10 o gli animali o le emozioni (anche se li abbiamo spiegati un milione di volte) ma sono sicura che l’argomento è latente nella loro testa e un giorno, quando faranno inglese a scuola, tutto questo ritornerà e si sentiranno più sicuri.
Quella delle Maschere di Venezia è una storia che mi piace tanto raccontare, perché mi rende molto orgogliosa. Era il giorno in cui era il mio turno tenere la presentazione sul mio paese d’origine e tra le slides ne avevo inserita una sul Carnevale, con tanto di foto dei costumi e delle maschere. Avevo portato con me anche una piccola maschera regalatami da una mia amica che studia là (ciao Mira!) e l’ho fatta passare di mano in mano tra lo stupore di tutti, specialmente delle bambine. La settimana dopo due di loro, Nicoletta e Ioana, vengono verso di me con una maschera fatta di cartone, colorata da loro, arricchita con tantissimi dettagli e addirittura un elastico dietro per tenerla sulla faccia.
Ero senza parole. È stato proprio vedere l’impatto che puoi avere su una persona con dei piccoli gesti.
E niente, è tutto bellissimo.
E per chidere un grazie ad Ivan che molte volte è venuto a lavoro con noi.
Non era assolutamente parte dei suoi compiti ma ci veniva perché adora quello che fa. Sei stato il miglior compagno di Head Shoulders Knees and Toes che potessi desiderare.